mercoledì 30 aprile 2014

Una rischiosa realpolitik


pubblicato da RADICALWEB

A partire dalla manifestazione fuori dalle carceri minorili con i cartelli recanti la scritta “W il Papa”, varie iniziative radicali sembrerebbero mettere in dubbio la tradizionale laicità del movimento: dopo Casal del Marmo, la mancata celebrazione di Porta Pia per il 20 settembre, la marcia di Natale che è partita dal Vaticano, oltre a molti interventi, perlopiù radiofonici, di Marco Pannella. Alcune di queste circostanze sono state richiamate con toni positivi in un recente comunicato di Padre Lombardi, a testimoniare la stima di Pannella per Papa Bergoglio.

Nel mondo odierno, oltre ad alcuni stati islamici, l’unica teocrazia è proprio la Città del Vaticano: Islam e Cattolicesimo sono le uniche due religioni a produrre Stati di tipo teocratico. Volere portare un Papa a esprimersi su un provvedimento politico come l’amnistia, precondizione necessaria a un’urgente riforma della giustizia, appare come una vera e propria richiesta d’ingerenza da parte di un capo religioso e capo di Stato straniero negli affari politici italiani.

Sono purtroppo certo che, al di là dei giusti appelli radicali per la giustizia, in molte altre occasioni il Vaticano non mancherà di intromettersi nella politica di uno Stato, quello italiano, che dovrebbe essere laico e che si perpetuerà un’abitudine ormai secolare, se non millenaria. Da fautore della “realpolitik” e militante perdigiorno radicale, suggerii proprio a Pannella di cercare uno spazio politico nel centrodestra per riuscire a eleggere i nostri parlamentari. Marco esplose in un “Sei pazzoooo!” e ricordò la criminale questione dei respingimenti voluti dall’allora ministro Maroni. Non dispongo di tutte le informazioni necessarie, ma continuo a ritenere che ci sarebbe stata la possibilità di portare a casa qualche parlamentare e non ho potuto fare altro che ammirare, ancora una volta, la rettitudine pannelliana e radicale.

Quindi, sempre da maledetto “realpolitikante”, non potrei non dare il mio “benvenuto” a Papa Francesco I, se davvero si unisse a Pannella e a tutti noi radicali nella lotta nonviolenta per l’amnistia. Sono convinto che le ingerenze cattoliche proseguiranno comunque, anche sugli sviluppi della questione della procreazione assistita e su molto altro ancora: nel caso dell’amnistia, non posso negare che sarebbe un’ingerenza senza dubbio meno spiacevole di altre.

Però, permane forte in me il dubbio che, al di là dell’occasione da cogliere, il recente appello al Papa finisca con l’avallare il ruolo politico della Chiesa cattolica e delle religioni in genere. Si tratta di una (rischiosa) “realpolitik”.

Ancora una volta, chi sta correndo, sulla sua stessa pelle, i rischi peggiori è Marco Pannella. Temo che i sensati appelli alla prudenza e alla salute non fermeranno Marco che pone la sua lotta nonviolenta e battaglia politica al di sopra della sua stessa vita. Penso voglia comunicare questo. E che ci dovremmo preoccupare non per lui, ma per lo stato della giustizia e la tortura ai detenuti.

martedì 11 dicembre 2012

La regola di Volcker è sempre più urgente


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


La regola di Volcker prende il nome dall’ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker che l’ha ideata e proposta nel 2008 ed è, in realtà, molto semplice: prevede una drastica limitazione al proprietary trading delle banche commerciali, cioè il divieto di comprare e vendere azioni, derivati, strumenti finanziari complessi non su richiesta di un cliente, ma come ricerca di utile in proprio. Inoltre, la regola di Volcker limita al 3% la partecipazione delle banche in hedge fund e si oppone radicalmente al concetto di banche “troppo grandi per fallire” (“too big to fail”, che è il titolo anche di un ottimo film di Curtis Hanson sulla bancarotta della Lehman Brothers).

Secondo Volcker, l’attività speculativa delle banche commerciali ha giocato un ruolo chiave nella crisi finanziaria iniziata nel 2007. Le banche commerciali sono protette dal sistema federale in caso di grave crisi perché assolvono alla funzione tradizionale di deposito dei risparmi e di erogazione di credito all'economia reale.

Nel tempo, si è andata perdendo la distinzione tra banche commerciali e banche d’affari per fare posto al modello di “banca universale” nel quale le storture sono ancora più evident. Fino a quando verrà permessa un’ampia commistione fra gestione dei prestiti o del risparmio e attività puramente speculativa, non verrà posto alcun freno al cosiddetto “azzardo morale”, in quanto le banche tenderanno sempre a comportarsi come giocatori d’azzardo, ben sapendo che i rischi, nel peggiore dei casi, ricadranno sugli Stati e quindi sui cittadini e sui risparmiatori.

Le banche d’affari, diversamente dalle banche commerciali, devono invece essere lasciate libere di speculare e di rischiare, ma anche di fallire, senza ricevere alcun aiuto pubblico.

Sostanzialmente, la regola di Volcker era già contenuta nel Glass-Steagall Act del 1933, poi abolito nel 1999 da Bill Clinton: la premessa che ha portato al crack a cui abbiamo assistito.

Barack Obama aveva presentato la regola di Volcker, ma le lobby di Wall Street non sono state a guardare e il testo della regola di Volcker si è molto complicato, a causa di eccezioni e distinguo, l’iter parlamentare è stato complesso ed è passato attraverso alterne vicende: le banche hanno tempo fino al 2014 per adeguarsi alla regola di Volcker, il cui testo definitivo dovrebbe essere pronto non prima del primo trimestre dell’anno prossimo.

Le prime dichiarazioni di Paul Volcker sono ottimiste su quanto “le nuove regole sono state efficaci. Le banche comunque hanno fermato le operazioni di proprietary trading e hanno operato ampi tagli ai rispettivi fondi hedge e di private equity. C'è un po' di ritardo e ciò rende la situazione più confusa, ma tutto sommato l'obiettivo è stato raggiunto, almeno per le operazioni più immediate. Manager e dirigenti hanno finalmente capito che questa legge deve essere seguita e penso che riusciranno a controllare i trader in modo efficace”.

Ma alcuni senatori repubblicani stanno già chiedendo di spostare ulteriormente in avanti il termine per l’attuazione della regola di Volcker che è necessaria anche in una riformulazione europea. Christine Lagarde, attuale direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha ricordato che la funzione svolta dalle banche è un bene pubblico che non può essere lasciato al funzionamento del mercato e richiede un intervento pubblico per assicurare credito all'economia, regolamentare il settore, ridurre i rischi.

Se da un lato il ministro delle finanze francese Pierre Moscovici ha annunciato un disegno di legge contenente una sorta di regola di Volcker morbida; dall’altro, la recente crisi delle banche spagnole rende ancora più urgente una nuova regolamentazione anche in Europa.

venerdì 23 novembre 2012

Perché non andrò a votare alle primarie del centro-sinistra


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


Per registrarsi all’albo degli elettori delle primarie bisogna sottoscrivere “l’appello degli elettori dell’Italia bene comune” in cui è scritto chiaramente: “… rivolgiamo un appello a tutte le forze del cambiamento e della ricostruzione a sostenere il centrosinistra e il candidato scelto dalle primarie alle prossime elezioni politiche.” Il centrosinistra, almeno fino ad oggi, ha inspiegabilmente scelto di evitare qualsiasi forma di coinvolgimento dei Radicali e li ha completamente esclusi da ogni confronto.

Emma Bonino è stata lapidaria: “Quanto al dibattito tra radicali sulle primarie del centrosinistra, se non vogliamo fare infingimenti, chi si impegna per Renzi o per Bersani poi lo vota alle elezioni, vota per la coalizione. E a me non pare che noi ad oggi, abbiamo pregiudizialmente deciso di schierarci con il centrosinistra" Non sono mancati ammiccamenti all’elettorato radicale da parte di Matteo Renzi, seguito più recententemente da Nichi Vendola, ma si è trattato di battute da campagna elettorale che non hanno prodotto nulla di concreto.

Inoltre, nell’ appello agli elettori è contenuto il seguente passo: “Chiediamo che i candidati dell’Italia Bene Comune rispettino gli impegni contenuti nella Carta d'Intenti.”

Quest’ultima è un programma elettorale elaborato dal Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà e Partito Socialista Italiano, senza che ovviamente i Radicali abbiano potuto minimamente contribuire.

Marco Pannella ritiene che “… l'elezione di Renzi possa rappresentare una svolta importantissima in tutta la politica italiana", ma coerentemente non andrà a votare alle primarie. Ci andrà, invece, il confermato presidente di Radicali Italiani Silvio Viale, che ha cercato di dare la maggiore visibilità possibile al suo endorsement per Renzi, rimanendo in verità piuttosto isolato. Viale si pone, così, in contrasto con la mozione generale approvata nello scorso congresso di Radicali Italiani.

Nella mozione è scritto: “Prende atto del perpetrarsi della conventio ad excludendum del movimento radicale da parte dei principali soggetti della partitocrazia italiana, inclusa la decisione dei vertici del Partito democratico di escludere preventivamente ogni possibilità di partecipazione attiva di Radicali alle cosiddette "primarie" convocate dal trio Bersani, Vendola, Nencini … (omissis)... impegna gli organi dirigenti a mettere a disposizione l’apporto migliore e massimo del movimento alle iniziative anche politiche elettorali della galassia radicale, confermando quanto è sempre accaduto."

Silvio Viale è iscritto anche al Partito Democratico (come Mina Welby ed altri compagni radicali per i quali il PD deroga al suo statuto), ma non è un doppio tesserato qualsiasi: è, bensì, il presidente di Radicali Italiani che dovrebbe, da dirigente, contribuire alla messa in pratica di una mozione generale approvata ad amplissima maggioranza. La posizione politica di Viale, beninteso, è del tutto legittima, ma da un punto di vista politico dovrebbe coerentemente portare alle sue dimissioni dalla carica di presidente.

Radicali Italiani, nel riconfermare Viale alla presidenza, ha compiuto uno straordinario gesto di apertura verso il Partito Democratico, eleggendo un suo tesserato, ma nemmeno questo ha permesso di riaprire un dialogo interrotto da troppo tempo. Intervenendo all’XI Congresso di Radicali Italiani, anche il capodelegazione del PD Alessandro Maran ha evocato il dialogo, ma tristemente nulla di tutto ciò sta avvenendo e il centrosinistra continua ad escludere i Radicali, non avendo il coraggio di prendersi le responsabilità di un divorzio o di giustificarlo.

I compagni radicali che hanno superato la gimcana del doppio tesseramento al PD potrebbero ovviamente recarsi alle urne delle primarie, ma io non sono fra questi.

Da radicale, quindi, non voterò alle primarie perché non posso impegnarmi a votare per una coalizione che esclude il movimento radicale e che si basa su un programma al quale i Radicali non hanno minimamente contribuito.

venerdì 16 novembre 2012

L'emendamento necessario


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


“La votazione che ci apprestiamo a fare è una votazione per niente banale, ma è una votazione che segna o segnerà una svolta o una continuità sostanziale con quella che è stata la nostra storia e la nostra forza”. Con queste parole, durante la fase di votazione dell’XI Congresso di Radicali Italiani, Emma Bonino ha iniziato il suo intervento in favore dell’emendamento all’art.1 dello Statuto, avente come primo firmatario il tesoriere Michele De Lucia.

L’emendamento, come letto dal presidente Silvio Viale, recita: All’art. 1 dopo le parole “il Presidente del Congresso” e prima delle parole “il movimento che ha sede in Roma” si inserisce il seguente comma "Radicali Italiani in quanto tale e con il proprio simbolo non si presenta a competizioni elettorali".

Fin dalla sua fondazione nel 2001, Radicali Italiani non ha mai partecipato direttamente ad elezioni e l’emendamento, dunque, poteva apparire scontato, ma, considerata la spaccatura fra i congressisti, non possiamo certo affermare che sia stato così. Evidentemente, molti Radicali (e, fra di loro, anche vari dirigenti) considerano plausibile, e forse persino utile, l’ipotesi di presentare liste autonome da parte di Radicali Italiani.

Seguire questa strada sarebbe stato, a mio avviso, un grave errore, per ragioni che provo a spiegare.

Innanzitutto, come già ricordato, Radicali Italiani non ha mai preso parte, in quanto tale, alle elezioni e ciò non gli ha assolutamente impedito né di esistere né di fare politica, contribuendo, fra l’altro, ai soggetti elettorali radicali che si sono organizzati negli ultimi anni: la Lista Bonino-Pannella e la Rosa nel Pugno.

L’emendamento approvato, inoltre, conforma lo statuto di Radicali Italiani a quello del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito (del quale Radicali italiani è soggetto costituente) che all’art. 1 recita: “Il Partito Radicale in quanto tale e con il proprio simbolo non si presenta a competizioni elettorali”. La non partecipazione diretta alle elezioni è uno dei tratti fondamentali del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito; un altro tratto fondamentale, strettamente connesso al primo, è il doppio tesseramento: il Partito Radicale, il partito al quale chiunque può iscriversi. Come ha ricordato Marco Pannella nella sua ultima conversazione domenicale su Radio Radicale: “Non c’è precedente di organizzazione politica connotato da questo”.

Con l’approvazione dell’emendamento, Radicali Italiani si connota, quindi, maggiormente come “transpartito”, ovvero come partito aperto a tutte le provenienze e le militanze, “la contraddizione come ricchezza fra distinti e non necessariamente tra opposti”. Fra l’altro, ciò dovrebbe giovare a un movimento in cronica penuria di iscritti e al quale il Partito Radicale, in questi ultimi anni, ha destinato enormi risorse.

Infine, mentre Radicali Italiani può contare su oltre mille iscritti, sono oltre quattromila quelli iscritti alla “galassia radicale”. Quindi, Radicali Italiani non potrebbe in nessun caso arrogarsi il diritto di essere la forza promotrice di iniziative elettorali perché questo finirebbe con l’escludere un grande numero di compagni radicali, ma non tesserati di Radicali Italiani.

Più in generale, occorre interrogarsi sull’opportunità della partecipazione a competizioni elettorali che saranno caratterizzate, ancora una volta, dall’illegalità. In questo senso, il Lazio rappresenta un caso di portata nazionale nel quale, a mio avviso, bisognerebbe considerare la presentazione del simbolo del 2010: quello della Lista Bonino-Pannella, il soggetto politico elettorale che offre le massime garanzie di trasparenza e legalità per l’indiscussa integrità morale di Marco Pannella. Non è un caso che, in epoca di ruberie e scandali politici, i radicali siano ancora una volta estranei ad ogni forma di malversazione o, come recita un “hashtag” di moda: #tranneiradicali.

venerdì 9 novembre 2012

Il PD resterà un’araba fenice per i radicali?


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


I rapporti fra Radicali e Partito Democratico si sono drammaticamente deteriorati e, in casa radicale, ci si chiede il motivo di un’esclusione e della negazione di qualsiasi dibattito ufficiale con la dirigenza democratica. Emma Bonino ha commentato: “Veramente c'è da chiedersi di quale peccato capitale, di quale reato si siano macchiati i radicali per essere totalmente espulsi. Non è una questione di buona educazione, perché non è questo il terreno. Forse è perché siamo troppo rigorosi sulla trasparenza? Forse perché siamo troppo rigorosi sul rispetto delle regole? Forse troppo rigorosi sulle questioni di libertà individuali e laicità dello Stato? Forse cosa? Siamo antipatici?”.

Sono tutte domande rimaste, almeno sinora, senza risposta e sono indubbiamente la manifestazione di un’incomprensione che parte da lontano. Fin dalla fondazione del Partito Democratico, il suo rapporto con i Radicali è stato controverso .

Nel 2007, Marco Pannella annunciò la sua candidatura, per la Rosa nel Pugno, alle primarie del nascente Partito Democratico. Essa fu dettata “dalla necessità di proseguire nella strategia radicale di assicurare al nostro Paese un'alternativa pienamente liberale, pienamente laica, pienamente socialista e radicale". Rosi Bindi dichiarò: “Come candidato minoritario diamo il benvenuto anche a lui”. Pannella vide, invece, respingersi la candidatura dall'Ufficio di presidenza del PD in quanto, pur non rivestendo alcun incarico, leader di una forza politica non impegnata a sciogliersi dentro il PD. Una scelta chiaramente politica di esclusione verso Pannella perché la struttura del movimento radicale non permette quel tipo di ragionamento.

In occasione delle elezioni del 2008, il PD “a vocazione maggioritaria” impose ai Radicali di rinunciare al simbolo, ospitando i candidati radicali nelle proprie liste. L’apparentamento con il simbolo venne, invece, concesso all’Italia dei Valori, in quanto quest’ultima promise di sciogliersi nel PD dopo le elezioni. Lo scioglimento, puntualmente, non si verificò.

Inoltre, fu posto il veto alla candidatura del leader Marco Pannella, nonostante egli fosse stato da anni assente dal parlamento italiano. “Marco lo facciamo eleggere alle Europee con 200.000 preferenze” dichiarò Goffredo Bettini per rassicurare i Radicali. Nemmeno questo si verificò, ma non fu l’unico veto che il PD impose: anche Sergio D’Elia e Silvio Viale dovettero subire un ingiusto ostracismo.

A D’Elia, parlamentare uscente eletto nella Rosa nel Pugno, vennero contestati fatti dai quali era stato riabilitato quasi dieci anni prima, mentre Viale dovette pagare la sua lunga militanza in favore dei diritti delle donne.

Ai Radicali venne garantita l’elezione di tutti i nove candidati al Parlamento. Quando vennero presentate le liste, si scoprì che quattro candidati furono inseriti in posizioni a rischio e per tre candidati si prospettò una quasi sicura ineleggibilità. Marco Pannella iniziò uno sciopero della sete, ma il PD rispose che le liste non erano più modificabili, salvo cambiare idea poco tempo dopo per inserire Stefano Ceccanti.

Solo l’imprevedibile e sorprendente fiasco elettorale della Sinistra Arcobaleno permise l’elezione di tutti i candidati, come promesso dal PD. Nonostante ciò, gli eletti radicali rispettarono gli accordi e mantennero la promessa di iscriversi al gruppo del Partito Democratico, diversamente dall’Italia dei Valori che tradì i patti.

In occasione delle elezioni europee del 2009, da una parte Bettini si rimangiò pubblicamente l’impegno alla candidatura di Marco Pannella, dall’altra il neo-segretario Dario Franceschini parlò in diretta televisiva di un’inesistente “divorzio consensuale”: un’uscita che gli valse il pannelliano “hai la faccia come il culo”.

In quello stesso anno, Pierluigi Bersani intervenne nel Congresso di Radicali Italiani e le incomprensioni sembrarono, almeno in parte, superate: alle elezioni amministrative del 2010 Emma Bonino fu candidata alla presidenza della Regione Lazio. Vennero messe a disposizione risorse molto scarse, se paragonate all’investimento effettuato qualche anno prima per Piero Marrazzo. Mesi dopo, arrivarono le rivelazioni di Concita De Gregorio, che confermò quanto alcuni avevano sempre sospettato: una larga parte del PD laziale, soprattutto in provincia, boicottò la candidatura della leader radicale per rafforzare nel PDL l’allora dissidente Fini e la sua candidata Renata Polverini. La legislatura alla Regione iniziò con la bocciatura da parte democratica del candidato radicale alla presidenza della commissione “per il pluralismo e l’informazione”, Giuseppe Rossodivita. Tutti sappiamo com’è andata a finire: sono stati i soli Radicali a scoperchiare il pentolone del malgoverno e del malaffare e a portare alle dimissioni della governatrice di centro-destra.

Non sono state solo le elezioni a contribuire alle incomprensioni fra PD e Radicali. All’inizio della legislatura, nel momento dell’assegnazione dei parlamentari alle commissioni, nessuna richiesta radicale venne soddisfatta, mentre nella commissione di vigilanza RAI si consumò uno spettacolo indecente, con il PD che boicottò un suo stesso parlamentare invitando, illegalmente, a disertare i lavori della commissione.

L’introduzione del divieto di doppia tessera, sconosciuto al PCI di un tempo, ha creato un’ulteriore frattura, culturale oltre che politica, ma la principale delusione, da parte radicale, è avvenuta sul fronte dell’amnistia, precondizione necessaria per la riforma della giustizia e centrale nell’analisi radicale. Da una parte, il PD ha sempre generalmente avversato l’iniziativa, con la senatrice Anna Finocchiaro che reagì infastidita persino dinanzi alla proposta di un dibattito. Dall’altra, il PD cercò in ogni modo di svuotare di significato il disegno di legge Alfano sulla de-carcerizzazione e il nuovo istituto della messa in prova, allinenandosi in questo non solo all’Italia dei Valori, ma persino alla Lega Nord. Dopo due lunghe lotte nonviolente della deputata radicale Rita Bernardini e dei Radicali si arrivò alla concreta possibilità di contrastare il criminale e disumano stato delle carceri, le catacombe contemporanee. Ma, grazie all’opposizione del PD, venne cancellato l’automatismo nella concessione della detenzione domiciliare, che fu ulteriormente limitata, stralciando l’introduzione della messa in prova.

In occasione del voto di fiducia al governo Berlusconi del 14 dicembre 2010, i Radicali vennero preventivamente tacciati di tradimento, salvo poi scoprire che, mentre i Radicali votarono coerentemente contro il governo, a fare il “salto della quaglia” furono parlamentari dell’Italia dei Valori e dello stesso PD.

Persino il voto di Marco Beltrandi contro una mozione parlamentare di Franceschini sull’election day (marzo 2011) venne strumentalizzato contro i Radicali. Sebbene il provvedimento fosse puramente indicativo e sarebbe stato, in ogni caso, disatteso dal Governo, piovvero tuoni e fulmini sul malcapitato Beltrandi, con annessa minaccia di espulsione dal gruppo.

In estate, fu la volta della “prepotente urgenza”, espressione con la quale il Presidente Giorgio Napolitano definì il dramma dello sfascio giudiziario e della disumana condizione delle carceri. Quelle di Napolitano si rivelarono, però, vuote parole, prive di reali conseguenze, come il doveroso messaggio presidenziale alle Camere, che resterà lettera morta fino ai giorni nostri. Nel settembre 2011, in occasione del voto sulla sfiducia ad personam contro il ministro Romano, i deputati radicali non presero parte al voto e la loro non partecipazione fu ininfluente per il risultato finale, con il Governo che prevalse per 315 a 294. Ancora una volta si levarono strali contro gli “inaffidabili” Radicali.

L’atteggiamento radicale fu ben motivato in questa dichiarazione di Elisabetta Zamparutti: “vogliamo esprimere con la nostra non partecipazione al voto la sfiducia ad un'intera classe politica che si ostina a mantenere lo sfascio della giustizia, che è il fondamento dello Stato di diritto, per ripristinare il quale urge una amnistia...amnistia per la Repubblica!”. Ma il sequestro da parte dello Stato di oltre sessantasettemila detenuti fu evidentemente considerato un aspetto irrilevante da parte del PD.

Il mese successivo, di fronte a un tentativo delle opposizioni, suggerito da Pierferdinando Casini, di mettere i bastoni tra le ruote alla maggioranza cercando di far mancare il numero legale al voto di fiducia, i deputati radicali decisero di entrare poco prima del “via libera” del capogruppo democratico. In aula volarono insulti contro gli esponenti radicali. Rosi Bindi perse le staffe. “Quando gli stronzi, sò stronzi galleggiano senz’acqua”. Ma anche stavolta i Radicali fecero bene i conti e Pier Luigi Bersani spiegò: “Non sono stati determinanti: pur se per un pelo, il numero legale la maggioranza lo ha raggiunto comunque”.

La delegazione radicale in Parlamento votò di rado difformemente dal Partito Democratico, ma quei pochi casi vennero particolarmente stigmatizzati dai media. Si ebbe la sensazione della presenza una sorta di regia occulta nell’accanimento mediatico contro i Radicali.

Si creò un clima di linciaggio antiradicale che sfociò negli insulti e negli sputi rivolti per strada a Marco Pannella dagli “italiani brava gente”. In quello stesso anno, nel mese di novembre, si tenne un incontro chiarificatore tra i leader radicali Pannella e Bonino e il segretario del PD Pierluigi Bersani che dichiarò: “So che è necessario un raccordo con una componente che mantiene la sua autonomia sulle scelte delle opposizioni. Serve un dialogo più riavvicinato". Furono parole confortanti per chi ha aveva creduto non solo nella necessità di una collaborazione fra Radicali e PD, ma purtroppo il seguito sarà diverso.

I Radicali vennero di nuovo duramente contestati nel caso del voto sull’arresto di Nicola Cosentino, nel gennaio 2012. A nulla valsero né la spiegazione del segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini (“il processo Cosentino non si ferma, va avanti, è l’arresto che non ci sarà”) né la motivata dichiarazione di Maurizio Turco: “la richiesta di esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del collega a me pare infondata e frutto di un obiettivo fumus persecutionis, se si fa sforzo di serietà e omaggio alla legge.”

Bisogna ricordare che quel voto fu ininfluente ai fini della sopravvivenza del governo Berlusconi al quale – è bene ricordarlo – i parlamentari radicali hanno sempre votato la sfiducia, a differenza di vari esponenti dei delle altre due forze politiche della coalizione del 2008: il Partito Democratico e l’Italia dei Valori. Mentre i Radicali si sono rivelati fedeli ancora una volta, come ai tempi degli “ultimi giapponesi” in difesa del governo Prodi.

I più feroci cultori della realpolitik potrebbero infischiarsene dell’enorme patrimonio culturale e politico radicale, fatto di raffinate ed approfondite analisi, seguite da proposte capaci di rivoluzionare in senso liberale la società italiana.

Non credo, però, si possa dimenticare quanto dimostrato dallo studio sui flussi elettorali del 2006, quando fu la Rosa nel Pugno a spostare i voti determinanti per la vittoria del governo Prodi. La nuova coalizione di centrosinistra, disposta ad accogliere nuovamente il figliol prodigo Rutelli e pronta ad intavolare trattative con i comunisti di Diliberto, non può ignorare la capacità dei Radicali di intaccare l’elettorato del centro e della destra, spostando consensi che, come nel 2006, potrebbero rivelarsi determinanti anche nelle prossime elezioni di aprile.

Furono Pannella e i Radicali ad usare per primi la dizione “Partito Democratico” a livello elettorale, sognando un Partito Democratico laico, liberale e libertario per il quale è doveroso spendersi e lottare, affinché non resti, per i Radicali, un’irraggiungibile araba fenice.

martedì 23 ottobre 2012

Che cosa mi aspetto dal congresso di Radicali italiani...


pubblicato da NOTIZIE RADICALI


L’undicesimo congresso di Radicali italiani avrà luogo a Roma, all’hotel Ergife, dal 1 al 4 novembre. Come “Notizie Radicali” abbiamo pensato che poteva essere utile offrire uno spazio di riflessione, confronto e dibattito; e per questo abbiamo chiesto a un certo numero di compagne e compagni di rispondere alla domanda “aperta”: “che cosa mi aspetto dal Congresso”. Nel senso di: cosa suggerisco, cosa propongo, cosa penso che debba essere fatto. E’ evidente che al di là dell’invito fatto per avviare la riflessione, il dibattito è aperto a chiunque vorrà intervenire. Abbiamo già pubblicato i contributi di Romano Scozzafava e Maurizio Bolognetti (15 ottobre); Claudio M. Radaelli (16 ottobre); Laura Arconti (17 ottobre); Guido Biancardi (18 ottobre); Emanuele Rigitano (19 ottobre); Emiliano Silvestri (20 ottobre). Oggi è la volta di Andrea de Liberato. Per intervenire, inviare i contributi a: va.vecellio@mail.com





Il Congresso del 2012 di Radicali Italiani si svolgerà in un momento che si rivelerà probabilmente decisivo per la politica e per il futuro non solo dei Radicali, ma dell’intero Paese. Emma Bonino ha annunciato la partecipazione “ad ogni livello” di liste radicali che, come specificato da Marco Pannella, saranno “liste aperte”.

Innanzitutto, dovranno essere ovviamente aperte agli esponenti della comunità carceraria: a chi è stato o è tuttora vittima del vergognoso stato delle carceri italiane, il termometro dell’inciviltà antidemocratica e illegale della Giustizia nel nostro Paese. Mi auguro che le liste radicali abbiano la possibilità di ospitare personalità del mondo dell'arte e della cultura, rinnovando una tradizione che vede in Leonardo Sciascia una delle sue espressioni più nobili e confermando di saper tenere vivo un legame con il mondo culturale ed accademico, che si è rivelato un fattore spesso decisivo nel ruolo di avanguardia politica svolto dai Radicali. Inoltre, le liste radicali dovranno essere aperte ai liberali, agli ecologisti, ai socialisti liberali.

I liberali sono sparsi nei grandi partiti oppure riuniti in piccoli gruppi, spesso di recente formazione. Anche i socialisti appaiono divisi in varie formazioni politiche ed la maggiore (l’unica che abbia un peso elettorale minimamente rilevante, il PSI) aderisce già all’Alleanza di (centro)sinistra, imperniata su Bersani e sul Partito Democratico. I Verdi, da parte loro, hanno dato vita a un’aggregazione ecologista che, sebbene leggermente in crescita, difficilmente riuscirà a sopravvivere da sola.

Per le liste annunciate dai due leader radicali si pone il problema del simbolo elettorale: quello della Lista Pannella-Bonino identifica esclusivamente la realtà radicale e, a rigor di logica, si dovrebbe utilizzare qualora le liste rimangano esclusivamente radicali, anche in virtù della sua maggiore riconoscibilità. Un’alternativa è la Rosa nel Pugno che può rappresentare, come già nel 2006, qualcosa di più ampio. Al tempo stesso, però, quel simbolo resta strettamente legato, almeno nelle sue ascendenze mitterandiane, all’esperienza socialista liberale e rischierebbe di rivelarsi escludente verso una parte del mondo liberale.

Si tratterà di verificare, infine, chi possa essere disposto ad aggregarsi nelle liste radicali, avendo ben presente che l'analisi e la proposta radicale, come il libro giallo della "Peste italiana", restano qualcosa di unico e non vengono condivise generalmente dagli altri partiti.

Mario Staderini, il segretario di Radicali Italiani, ha annunciato, durante il recente Comitato Nazionale, la presentazione di tre “pacchetti referendari”: sei referendum che investono una parte essenziale della politica e della storia radicale. Promuovere questi referendum è un obiettivo ambiziosissimo, ma doveroso, come necessaria risposta all’antipolitica trionfante e sfascista.

La raccolta di firme per le liste radicali e per i referendum sarà portata avanti in condizioni difficili, sia da un punto di vista organizzativo che finanziario. Le casse sono pressoché vuote perché l’autofinanziamento, in tempi di crisi, è sempre più difficile e si è attinto ai rimborsi elettorali solo per la quota effettivamente spesa alle elezioni ovvero in misura infinitamente minore rispetto a tutte le altre forze politiche (anche a quelle che hanno preso meno voti della Lista Bonino Pannella).

Il problema finanziario è, quindi, prioritario ed ineludibile se si vogliono affrontare le prossime elezioni nazionali ed amministrative con liste autonome ed alternative, portando al contempo avanti un’iniziativa referendaria. Da un lato, si potrebbe intaccare il patrimonio della galassia, avendo ben presente che si tratterebbe di una strada senza ritorno e che alcune soluzioni (come la vendita della sede di via Torre Argentina) comporterebbero comunque nuove spese. Dall’altro, sarebbe suggestivo riuscire a mettere in piedi una campagna che riporti in vita un vecchio slogan: “I Radicali: o li scegli o li sciogli”.

mercoledì 17 ottobre 2012

La bomba ecologica del Lazio

pubblicato da NOTIZIE RADICALI


La bomba ecologica dei rifiuti di Roma continua ad essere allegramente sottovalutata, in un grottesco balletto che vede protagonisti i governanti laziali.

Il “piano per Roma” presentato dal ministro Corrado Clini prevede il ripristino della legalità nell’ambito del trattamento dei rifiuti, in ottemperanza alle direttive europee e alle leggi italiane: cinquanta per cento di raccolta differen ziata entro il 2014 (rispetto all’attuale misero venticinque per cento), il recupero di materia ed energia, l’uso delle discariche come soluzione residuale per la quota di rifiuti non recuperabili completare il sistema di impianti di TMB (trattamento meccanico-biologico) e degli impianti per la valorizzazione energetica dei rifiuti.Il “piano per Roma” è stato sinora l’unico vero punto d’accordo fra la regione del Lazio, la provincia e il comune di Roma. Esso individua una graduatoria dei siti in cui realizzare la discarica “provvisoria” che per due o tre anni dovrebbe sostituire Malagrotta. L’elenco dei siti si basa, malauguratamente, su quello predisposto dalla Regione e già bocciato dalla Commissione Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che lo considera “inadeguato, perché doveva essere frutto di un’attività istruttoria sul campo”.

Il piano di Clini aggiunge, ai siti a suo tempo individuati dalle regioni, quello di Monte Carnevale: un sito militare posto sopra uno strato di argilla di 100 metri ed attiguo alla Valle del Galeria, il territorio già massacrato dalla criminale discarica di Malagrotta.

Gli enti locali si oppongono ed inizia un tragicomico gioco dell’oca che dapprima si ferma a Corcolle, a due passi da Villa Adriana: le proteste internazionali e le minacce dell’Unesco inducono l’allora commissario ai rifiuti Giuseppe Pecoraro a desistere e a presentare le dimissioni.

Ma la politica non si sogna nemmeno di fare il suo mestiere e viene nominato un nuovo commissario: il prefetto Goffredo Sottile, che punta su Pian dell’Olmo, un sito già scartato anni prima dalla stessa Regione, poi misteriosamente ricomparso sotto gli auspici dell’onnipresente Manlio Cerroni, il patron della Colari (Consorzio Laziale dei Rifiuti) che da decenni gestisce la discarica di Malagrotta e lo smaltimento dei rifiuti nella Capitale. La protesta nonviolenta dei cittadini di Riano (comune distante poche centinaia di metri da Pian dell’Olmo) e della valle Tiberina si realizza con l’occupazione pacifica della località in cui dovrebbe sorgere la discarica. Un’altra volta, si deve fare dietrofront: la cava di Pian dell’Olmo è troppo piccola e necessiterebbe di opere di adeguamento costosissime quanto di dubbia efficacia.

Si ritorna, infine, a Monti dell’Ortaccio, a due passi da Malagrotta, un sito già scartato dai tecnici dell’ex commissario Pecoraro che hanno dichiarato: “L’area presenta un livello di contaminazione e inquinamento che rappresenta un fattore escludente non derogabile. E risulta troppo vicino a frazioni e centri abitati”. Già in precedenza l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) aveva escluso Monti dell’Ortaccio per motivi simili. Il XV municipio XV ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori in corso sul sito ed il ripristino dello stato dei luoghi. Infatti, Monti dell’Ortaccio è una enorme cava, di proprietà del “re dei rifiuti” Manlio Cerroni, creatasi negli anni per portare a Malagrotta la terra per sotterrare i rifiuti. Insomma, assistiamo ancora una volta a pratiche che dovrebbero essere terminate da decenni: la priorità pare essere trovare, nel più breve tempo possibile, una cava dismessa o una qualunque buca già esistente per scaraventarci dentro quotidianamente migliaia di tonnellate di rifiuti non trattati.

Inoltre, il prefetto Sottile deve incassare, oltre al “no” del sindaco Alemanno, anche la bocciatura di Monti dell’Ortaccio da parte della Conferenza dei Servizi, organismo in cui siedono, fra gli altri, Comune, Regione, Provincia.

Come se non bastasse, un’altra tegola rischia di cadere sulla testa del commissario Sottile: a novembre 2011, il prefetto Pecoraro chiede se può affidare la gestione dello smaltimento direttamente ai privati e l’Avvocatura dello Stato risponde che “bisogna rispettare i principi di libera concorrenza, trasparenza, pubblicità” con una gara pubblica. Il contrario di quanto sta accadendo con Monti dell’Ortaccio e l’avvocato Manlio Cerroni, che è già proprietario dell’area e tratta direttamente con le Autorità.

Per dare un’idea del livello del commissario attualmente in carica, riportiamo uno stralcio dell’audizione parlamentare di Sottile presso la cosiddetta commissione “ecomafie”, presieduta da Gaetano Pecorella che chiede a Sottile: “Farete prima delle verifiche oppure andremo avanti ad indicare luoghi che si rivelano non adatti?”. “Si allungano i tempi”, la risposta. Ancora Pecorella: “Così si allungano di più”.

Ma Sottile, nonostante i pareri negativi, insiste su Monti dell’Ortaccio ed è pronto a ricevere prossimamente, da parte di Cerroni, “integrazioni al progetto per la discarica temporanea, che dovremo esaminare per esprimere delle valutazioni'', mentre Alemanno vagheggia di fantomatiche alternative che sarebbe pronto a presentare.

Nel frattempo, Malagrotta va verso l’ennesima proroga: l’ultima scade il 31 dicembre. La mega discarica romana è incapiente da anni ed è oggetto di procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea: quotidianamente vengono sotterrate migliaia di tonnellate di rifiuti non trattati (c.d. “talquale”) in barba alle leggi nazionali ed europee e infischiandosene della salute dei cittadini.

Le normative impongono di interrare solo rifiuti trattati, ma non tutti gli impianti (termovalorizzatori/inceneritori e impianti per il trattamento meccanico biologico/tmb) funzionano a pieno regime. Secondo i dirigenti dell’azienda municipalizzata Ama mancherebbe un’autorizzazione regionale, mentre Paolo Stella, direttore tecnico di un’azienda del gruppo Cerroni, che riferendosi all’Ama rilascia una dichiarazione agghiacciante: “Da uomo della strada, dico che costa di meno portarli in discarica: loro sono una Spa», Fra il ministro tecnico Corrado Clini e i commissari prefettizi che si sono succeduti, Pecoraro e Sottile, la grande assente è la politica. Del resto, la stessa commissione parlamentare rileva “l’inopportunità di ricorrere a strutture emergenziali, che consentono agli enti locali di sottrarsi alle decisioni”.

E’ l’ennesimo disastro della partitocrazia: a parole tutti sono contro la proposta di Sottile su Monti dell’Ortaccio, ma nessuno riesce a indicare un’alternativa. Né Gianni Alemanno, il cui assessore De Lillo già nel 2010 dichiarava che “nel territorio di Roma Capitale non vi sono aree idonee”. Né Nicola Zingaretti, che cinicamente ha continuato ad insistere su un sito inidoneo ma lontano da Roma come Pian dell’Olmo perché convinto di candidarsi a sindaco (chissà come rimedierà ora che corre per la Regione). Né tantomeno l’ormai dimissionaria Renata Polverini, che già mesi prima dello scandalo che l’ha vista protagonista si trincerava dietro ripetuti “no comment” a fronte dell’evidente fallimento del piano regionale di cui si era fatta promotrice.

A nulla valgono i giusti richiami del ministro Clini: “Quello dei rifiuti del Lazio è un sistema assurdo che fa comodo a chi amministra. Tocca a loro decidere il sito definitivo. Hanno le competenze, le esercitino”.

Sia Alemanno che Zingaretti sono papabili candidati alle prossime elezioni e non vogliono sporcarsi le mani, così come una Polverini ansiosa di riciclarsi e ben radicata elettoralmente nel Lazio. Meglio dichiararsi populisticamente contrari a qualsiasi soluzione o prospettare scenari ottimisticamente fantascientifici e passare la patata bollente al commissario governativo.

Eppure la soluzione ci sarebbe: la strategia “Rifiuti Zero” indicata da Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, consiglieri regionali della Lista Bonino Pannella. Riutilizzare tutti i prodotti, attraverso una vita ciclica delle risorse e facendo tendere allo zero i rifiuti da conferire in discarica: una strategia vincente che sta già dando risultati miracolosi, come a San Francisco.